Campetto Jamboree Sud.
Sentiamo il fischio e ci dirigiamo allo spiazzo dove si svolgerà il nostro ultimo quadrato. Quando finalmente ci siamo sistemati inizia la vera e propria chiusura del nostro campo. Vengono chiamati cinque volontari che caleranno le bandiere e un altro che dirà l’ammaina.
Fischiano di nuovo e siamo sull’attenti.
Guardandoci si può notare come ormai siamo diventati tutti uniti: è difficile vedere più di due persone con foulard uguale uno accanto all’altro; sembra quasi che siamo già diventati un reparto. Ci vengono rivolte parole gentili e piene di entusiasmo dai nostri nuovi capi. Quando abbiamo finito ci riuniamo da una parte e ci mettiamo in posa per una fantastica ultima fotografia tutti insieme tra sorrisi e facce buffe.
Ed è arrivato il momento di ripartire, di tornare nelle nostre città; alcuni di noi nemmeno un’ora o due saranno a casa, altri invece aspetteranno domani per prendere l’aereo. Perché è proprio questo il bello del campetto: conoscere persone nuove provenienti da tante delle regioni d’Italia, imparare a conoscere storie e tradizioni di città di cui magari avevi solo sentito il nome durante una lezione di geografia.
Ed a proposito di geografia, bisogna essere preparati se si vuole andare in Giappone; infatti, una delle basi che facevano parte dell’attività fatta al campo chiedeva proprio di avere alcune competenze non solo basilari sulla geografia del paese che, se siamo fortunati, andremo a visitare. Ma dai chi è che non sa che qual è il monte più alto del Giappone? Ovviamente questa non è l’unica cosa che abbiamo fatto: siamo diventati dei veri e propri fumettisti inventandone alcuni sulla vita scout; costruire delle bamboline kokeshi come buon auspicio non è così facile come sembra, per fortuna non abbiamo dovuto farle di legno; in più non potevano mancare gli origami, vero e proprio must della cultura giapponese diffusasi nel mondo.
Voglio confidarvi un segreto: una delle attività che a me personalmente è piaciuta di più è stata quella della valigia, dove ognuno di noi ha attaccato a una valigia vecchio stile un proprio pensiero. Questo campo con tante attività molto varie ci ha fatto fare un piccolo grande salto in una cultura lontana da noi, facendoci apprendere una marea di cose, alcune già conosciute, altre mai sentite prima.
Ormai il nostro campetto è finito, ed ora non ci rimane che aspettare di sapere se potremo continuare a far parte di questa fantastica avventura e come dice Eduardo De Filippo, famoso drammaturgo di cui prende il nome il nostro reparto:“S’ha da aspettà, Amà. Ha da passà ‘a nuttata”.
Annabelle Neri