Quel giorno, quando ci arrivò la mail, non ci conoscevamo ancora. Eppure già cercavamo di immaginare i volti dei ragazzi e delle ragazze che presto avrebbero costituito il nostro reparto.
Ci siamo incontrati un’umida sera di Dicembre, a Cornuda (TV). Inizialmente tutti ci studiavamo. Appena entrati, avevamo l’indicazione di appoggiare le specialità delle nostre zone di provenienza sul grande tavolo e sederci. Cercavi subito un volto familiare, possibilmente con un posto vicino. Invece no. Vedevi le persone che si stringevano con un sorriso, tanto da stare in otto in una panca da quattro. Ma che importa? Sono tutti tuoi amici, tutti la tua famiglia. Ti porgevano la mano, chiedevano il tuo nome e il tuo reparto e boom. Fratelli.
I capi si sono presentati: si chiamano Andrea, Giulia e Don Fabio, successivamente avremo conosciuto Nicola. Ricordo ancora le loro parole: “Ciao a tutti, noi siamo i vostri capi e vi porteremo in America”. Il brivido che ho sentito credo sia stato condiviso da tutti i miei compagni.
Abbiamo mangiato in abbondanza, senza sentire il bisogno di mantenere un minimo le distanze, perché sembrava di conoscere quei ragazzi da sempre.
Ci siamo sistemati nelle camere, poi abbiamo fatto un gioco con delle carte. Per ogni carta c’era un’immagine diversa, abbastanza strana. Ognuno sceglieva quello che lo rappresentava di più e diceva una parola per descrivere l’immagine, quindi sé stesso. Avventura, disordine, sogni, tenace, amicizia… poi un altro gioco, per imparare i nostri nomi. E qui abbiamo fatto la vera conoscenza. Sapevo che non avrei ricordato subito tutti i nomi, i loro volti erano tutti diversi, ma avevamo tutti lo stesso identico sorriso, quindi a chi importa dei nomi? C’era tempo. Successivamente abbiamo guardato i video preparati da noi sulla bellezza dei nostri gruppi che portiamo con noi al Jamboree. Poi siamo andati a letto, stanchi e felici (anche se ci siamo addormentati verso le tre di notte dall’agitazione 😉 ).
Abbiamo passato tutto il secondo giorno a ridere, giocare e a conoscerci tramite attività e alcuni momenti di tempo libero. La cosa migliore è stata quando, mentre ero in camera con le altre ragazze, ho cominciato a canticchiare una canzone che credevo del mio reparto solamente, ma ad un certo punto ho sentito una, due, tre voci che cantavano con me. Note diverse, voci diverse. Ma le stesse parole. La stessa cosa mentre i capi ci insegnavano la canzone che ci rappresenterà in America, “Take Me Home, Country Roads”.
Nel tardo pomeriggio i capi ci hanno fatto fare un gioco strano. C’erano delle scatole, sopra delle quali una lista di nomi: bisognava risolvere degli enigmi, per riuscire ad aprirle, molto in stile “Escape Room”.
Sul fondo c’era una bandierina bianca molto familiare: ricordo ancora l’urlo delle mie ragazze quando abbiamo realizzato che quella era la nostra squadriglia. La sera dovevamo presentarci in quadrato, con il nome e l’urlo di squadriglia e così sono nati i Cascabel, i Koati, le Alci e gli Scorpioni: due squadriglie femminili e due maschili. Durante il cerchio serale dovevamo immaginare l’incontro che avremo con gli scout delle altre nazioni e immaginare come noi italiani verremo visti dagli altri. Tra le risate, i giochi e i canti è arrivata la notte, e dopo la preghiera siamo andati “a dormire”.
La mattina dell’ultimo giorno abbiamo partecipato alla messa con Don Fabio e ciascuno ha portato all’altare le foto del proprio paese. Infine, per concludere in bellezza abbiamo fatto un’enorme partita a roverino, anche se non era così semplice giocare in 36.
Poi è arrivato il momento dei saluti, ed è stato difficile un po’ per tutti, perchè all’inizio eravamo tutti sconosciuti, ma alla fine un’unica famiglia!
Reparto Ponte di Rialto